E’ toccata a D’Alema la delicata operazione di salvataggio del Pd. Correre al recupero non solo del sindaco di Firenze Matteo Renzi, ma anche di una sorta di credibilità e compattezza all’interno del partito. Mai come ora la sinistra italiana è stata sul punto di spaccarsi in due tronconi contrapposti, con due diversi modi di vedere il futuro del Paese. E’ un po’ il gioco dei delusi: da una parte il giovane Renzi, amareggiato dal comportamento dei compagni che vorrebbero – o avrebbero voluto – escluderlo da ogni possibile gioco politico negandogli un indiscutibile ruolo; dall’altra il segretario Bersani, che ha interpretato il ruolo di segretario come quello di ‘terminator’: via tutti quelli che non gli piacciono, a cominciare da Berlusconi per finire con Renzi. Insomma, troppo facile far politica chiudendo gli occhi per non vedere gli avversari esterni e interni e fingere che non esistano. Troppo facile e un po’ infantile, diciamoci la verità. Tanto infantile da portare a un immobilismo economico e politico del Paese, che conta la non invidiabile cifra di sei milioni di disoccupati.
Il problema, infatti, non sta nel ruolo di Bersani, nella sua voglia d’essere premier a tutti costi, il problema sta nel Paese, che non può abdicare alla politica solo perché Grillo non la vuole e da buon autistico non parla con nessuno, né perché Bersani parla solo con chi pare a lui, e passi il fatto che esclude il Pdl, che pure è volere o no, gran parte dell’elettorato, cercando pateticamente di fare accordi con Grillo che come risposta lo deride di fronte a tutti, ma rischia anche di buttare via il suo partito spaccandolo in due ignorando Renzi con l’accusa che prende anche voti di elettori non di sinistra. Come crede che si aumentino i consensi, Bersani, se non portandoli via agli oppositori? Renzi in questo c’è riuscito, e tutto sommato avrebbe anche ottenuto un accordo di governo, se invece di congelare venti milioni di voti degli italiani – dieci del Pd e dieci del Pdl – come ha fatto il segretario, e come il Presidente della Repubblica gli ha permesso di fare, avesse trattato un governo in grado di rimettere in moto l’economia, di varare alcune riforme urgenti e quindi uscire da questo esiziale immobilismo.
La politica non è un fatto personale, non è il risultato di un risentimento o di una ripicca, la politica è l’arte del gestire al meglio il presente e il futuro del paese. Renzi esiste, è figlio del centro sinistra, né Bersani né altri possono annullarlo né politicamente né tanto meno fisicamente – cosa che sarebbe alquanto disdicevole – e allora è giocoforza ascoltarlo, non lo si può né censurare né imbavagliare. E’ una indiscutibile realtà politica della quale il Pd deve tenere conto.
A che gioco si gioca? A quali strani poteri rispondono le incongruenze incredibili di questi giorni? A svendere l’Italia agli avventurieri della finanza internazionale? L’America coltiva i grillini, nella speranza che spacchino l’area dell’Euro, la Merkel cfa la sua guerra personale giocando la carta del rigore alla tedesca, del quale conosciamo purtroppo dove ha portato l’Europa nelle varie fasi storiche del Novecento, Bersani gioca ad escludendum. E per l’Italia, scusate la curiosità, chi gioca? Ascoltiamo anche Renzi, e vediamo se almeno lui ha le idee più chiare. La corsa è con il tempo e con la povertà.