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L'Omelia dell' arcivescovo Betori per l'Epifania: "Tutti abbiamo bisogno di una ritrovata comunione" (testo integrale)

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Il testo dell’omelia per l’Epifania del Cardinale Giuseppe Betori
“Una stella guida i Magi, che dall’oriente si pongono in cammino per incontrare il re che è nato. Ma lo splendore della stella diventa per loro evidente solo perché il loro sguardo – quello di sapienti che scrutano il cielo – è già alla ricerca di segni di novità nel mondo. Per chi invece è chiuso in se stesso, per chi pensa di bastare a se stesso, nessuna luce è sufficiente a risvegliare un interesse e a nutrire un’attesa.

Ha scritto Papa Francesco nell’Evangelii gaudium: «Il grande rischio del mondo attuale, con la sua molteplice ed opprimente offerta di consumo, è una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata. Quando la vita interiore si chiude nei propri interessi non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri, non si ascolta più la voce di Dio, non si gode più della dolce gioia del suo amore, non palpita l’entusiasmo di fare il bene. Anche i credenti corrono questo rischio, certo e permanente. Molti vi cadono e si trasformano in persone risentite, scontente, senza vita».
Alla chiusura in sé degli individui corrisponde l’autoreferenzialità delle comunità, anche della Chiesa. Così il Papa ne ha parlato rivolgendosi ai vescovi latinoamericani: «La Chiesa è istituzione, ma quando si erige in “centro” si funzionalizza e un poco alla volta si trasforma in una ong. Allora la Chiesa pretende di avere luce propria e smette di essere quel “misterium lunae” del quale ci parlano i Santi Padri. Diventa ogni volta più autoreferenziale e si indebolisce la sua necessità di essere missionaria. Da “Istituzione” si trasforma in “Opera”. Smette di essere Sposa per finire con l’essere Amministratrice; da Serva si trasforma in “Controllore”» (Papa Francesco, Discorso ai vescovi responsabili del CELAM, Rio de Janeiro 28 luglio 2013, n. 5, 2).
A livello personale come pure in prospettiva comunitaria abbiamo bisogno di avere gli occhi pieni di curiosità dei Magi, per interrogare la vita e scorgervi i segni del passaggio di Dio e della sua presenza. Anche qui ci aiuta il magistero di Papa Francesco, che invita a riconoscere come Dio non possa essere rinchiuso in alcuno schema e la sua presenza non accetti confini: «La presenza di Dio accompagna la ricerca sincera che persone e gruppi compiono per trovare appoggio e senso alla loro vita. Egli vive tra i cittadini promuovendo la solidarietà, la fraternità, il desiderio di bene, di verità, di giustizia. Questa presenza non deve essere fabbricata, ma scoperta, svelata. Dio non si nasconde a coloro che lo cercano con cuore sincero, sebbene lo facciano a tentoni, in modo impreciso e diffuso» (Evangelii gaudium, 71).
La vicenda dei Magi insegna però anche che i segni non bastano, se non si è capaci di interpretarli. La stella smette di splendere agli occhi degli stessi Magi e il cammino perde l’orientamento. Nella loro ricerca diventa decisivo il confronto con la parola di Dio. Solo le parole del profeta, di cui danno testimonianza sacerdoti e scribi, hanno il potere di svelare il luogo in cui è nato il re che essi cercano: «E tu Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele» (Mt 2,6; cfr. Mi 5,1).
Anche la nostra vicenda umana appare spesso un cumulo di segni difficili da decifrare, incapaci da soli di offrirci un orientamento, se non ci affidiamo alla luce che viene dalla parola di Dio. L’esperienza di fede esige questo intreccio tra attenzione alla storia, nostra e del mondo, e ascolto della parola del Signore. Lo esigono anche questi nostri tempi, così confusi e portatori di tante preoccupazioni e angosce per le persone, le famiglie, la convivenza sociale. Dobbiamo essere fortemente convinti che radicarci nella parola di Dio non ci allontana dagli interrogativi dell’umanità e dal sentire il dovere di metterci al servizio del bene comune; ma neppure l’immergersi nella vicende del mondo può indurre a ritenere che la parola di Dio sia una voce tra le tante che si confondono attorno a noi e non invece la garanzia di verità e quindi di autenticità delle persone e della società. La testimonianza dei Magi mostra che la fecondità del nostro cammino è legata all’ascolto dell’unica Parola che salva.
Da ultimo, attiro l’attenzione su come nel racconto dei Magi viene qualificato il loro atteggiamento di fronte al Bambino: «Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono» (Mt 2,11). Prostrarsi e adorare è esercizio difficile per l’uomo di oggi, esortato da molte parti e con insistenza all’affermazione di sé, in un confronto con gli altri senza esclusione di colpi, e a pensare che la realizzazione di sé consiste nel successo sociale. È l’immagine illusoria di un uomo che pensa di edificare se stesso in un’autonomia assoluta, che lo condanna però a un’irrimediabile solitudine: ha bisogno di uccidere Dio, di farlo scomparire dal proprio orizzonte, per potersi sentire libero, ma così uccide anche gli altri, che non riesce più a riconoscere fratelli dopo che ha negato che ci possa essere un Padre di tutti. Ampiamente teorizzato in molte forme e tragicamente sperimentato in molti luoghi e tempi, questo progetto di autonoma affermazione di sé sta al fondo dello sfaldamento sociale che produce le crisi che dilaniano i popoli e creano i poveri, come pure origina lo sconforto individuale che scaturisce dall’oscuramento delle ragioni e dei fini dell’esistenza.
Basta guardare alla povertà della grotta di Betlemme, basta leggere le beatitudini proclamate da Gesù per comprendere quanto tale visione sia lontana dal cuore del Vangelo. La buona notizia che Gesù è e che geli annuncia riguarda infatti i poveri in spirito, vale a dire gli umili e i miti. Solo riconoscendo la propria creaturalità e, insieme, i necessari legami che lo qualificano in rapporto a Dio e agli altri, l’uomo scopre la propria vera identità. L’uomo del Vangelo, come i Magi, non ha paura di chinarsi di fronte al Figlio di Dio, perché sa che quel Dio non è un dispotico padrone ma un Padre colmo di amore, che vuole solo il bene dei suoi figli. E non ha timore neanche di chinarsi verso gli altri uomini e donne, in cui riconosce fratelli e sorelle che condividono l’amore di uno stesso Padre. Figlio e fratello: sta qui la sua dignità intangibile, esaltata da questi legami, svuotata invece di senso quando si pretende di affermarla in un’assoluta autonomia.
Rinnoviamo anche noi quest’oggi l’atto di adorazione al Signore Gesù. Lui, manifestazione dell’amore del Padre, crea le condizioni perché l’umanità tutta si riconosca come un’unica famiglia. Di una ritrovata comunione abbiamo tutti bisogno, a partire dai rapporti personali e familiari, per giungere poi a quelli sociali e universali. Quest’aspirazione alla fraternità e alla condivisione trovi spazio nel cuore di tutti, nutra le scelte di quanti hanno responsabilità di governo dei popoli, converta i nostri cuori, perché l’accoglienza della grazia di Dio e l’incontro con il suo Figlio ci colmi di gioia”.
Cardinale Giuseppe Betori, Arcivescovo di Firenze

 
 
 

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