In questa sopita fase preelettorale sono balzate fuori, immediatamente, tutte quelle piccole grandi cose che dividono in maniera vecchia, che ritenevo ormai obsoleta, le città italiane. E ovviamente quelle toscane.
Devo dire che in gran parte l’effetto Renzi ci ha messo del suo. Badate: non ho detto Renzi, ho detto effetto Renzi. L’ex sindaco di Firenze, è diventato primo ministro, ma questo non gli ha tolto di testa il primo amore, che appunto è Firenze.
Ricordo quando ormai tanti anni fa mi disse che quando uno è diventato sindaco di una città come questa sa che deve fermarsi a goderne il risultato. Che non ci poteva essere niente di meglio. E così, coerentemente, il premier vuol restare anche sindaco. Per questo ha imposto il ‘suo’ Nardella e ha fatto in modo che Eugenio Giani, anche se molto legato a lui, ma con carattere più indipendente, perdesse anche questa volta il tram per diventare primo cittadino.
Tutto il resto viene da solo: da sola – ma preordinata dal premier-sindaco – viene l’idea che la Pergola, fino a ieri l’altro un teatro del grande carrozzone ‘Eti’ sciolto a suo tempo proprio perché carrozzone, debba diventare Teatro Nazionale, pur non avendone i requisiti. Ma siamo siamo sinceri, i requisiti in una legge si scrivono come vuole chi fa la legge. Storia vecchia. La Pergola, insomma, per così dire, è innocente, è Renzi che la vuole vezzosa primadonna. Andando contro a tutte quelle che fino a questo momento sono le regole emesse dal ministero.
Al momento in cui scrivo, infatti, il solo teatro che rientra nell’ultima mandata di regole ministeriali è il Metastasio di Prato. Ma sono convinto che via facendo le regole cambieranno. Ed è inutile che i parlamentari pratesi, e i segretari dei partiti della città tessile si siano impegnati a portare avanti la candidatura del ‘Met’: Renzi farà in modo che le cose cambino. Perché, come dice lui, Firenze merita un teatro nazionale.
Ed è per questo che io dubito – ma badate posso anche sbagliare – che se i requisiti oggi non ci sono, domani salteranno fuori. La Pergola va dove il padrone vuole. Tanto è vero che all’interno del teatro fiorentino sembra si sia svolta un’ assemblea, dove si è annunciato una notizia che ancora non c’è, che nessuno ha sancito, ma che si avvererà: il riconoscimento di Teatro Nazionale. In base a regole che a oggi non lo contemplano.
Mi auguro di sbagliare, non solo perché Prato verrebbe scippato di un diritto acquistato in anni di lungo e appassionato lavoro, quanto perché ciò vorrebbe significare che davvero in Itali niente cambia. Restano solo le chiacchiere.
Il secondo punto è quello dell’ampliamento dell’aeroporto a Peretola. Renzi lo vuole. Il presidente della regione Rossi un po’ meno, perché tutto sommato riconosce che un aeroporto più grande in città creerebbe maggiori disagi. Ma il premier-sindaco Renzi lo vuole, perché tanto, stando allo studio presentato, i possibili disagi ricadrebbero su Prato. E Prato, nonostante il parere contrario del sindaco Cenni e i dubbi legittimi di Biffoni, renziano e candidato a sindaco per il Pd, dovrà prendersi le scelte fiorentine. Tanto è vero che l’Unione degli industriali, ha già detto che l’aeroporto ci vuole.
Fatemi essere la memoria storica. Negli anni Settanta, durante il grande dibattito sull’aeroporto a San Giorgio a Colonica che avrebbe dato a Prato la parte ‘buona’ dell’infrastruttura, quella della testa e non della coda, come accade oggi, fu detto no. No della sinistra, no della Dc, no della popolazione compatta. No del consiglio comunale unito. I primi fautori e ispiratori del no, lasciatelo dire a chi c’era a far da testimone, furono gli imprenditori. Un sì avrebbe portato a sconvolgere la futura area industriale che oggi è terra dei cinesi ai quali gli imprenditori hanno affittato i capannoni ma contro i quali si scagliano.
A quel tempo le strutture organizzative degli industriali dissero non alla testa del’aeroporto, con i relativi servi che avrebbero portato lavoro alla città. Oggi dicono sì alla coda: che porta solo difetti. E aerei sulla testa.
Hanno ragione i fiorentini. Basta alzare la voce e Prato obbedisce.
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