L’alcoldipendenza non è un vizio ma una vera e propria malattia che, in Toscana, interessa l’11,4% delle donne e l’8,5% degli uomini con conseguenze gravi anche se sceglie di curarsi meno del 7% di chi dovrebbe, spesso per la difficoltà ad accettare terapie basate sull’astensione immediata e totale dall’alcol. Sono dati diffusi oggi durante il simposio dedicato all’alcoldipendenza nell’ambito delle Giornate di psichiatria al quale hanno partecipato Liliana Dell’Osso, direttore della clinica psichiatrica dell’Università di Pisa, Icro Maremmani, docente di Medicina delle Farmacotossicodipendenze all’ateneo pisano e Andrea Fagiolini – responsabile della psichiatria universitaria di Siena. Per uscire dalla difficoltà però, hanno spiegato gli esperti, vi è una nuova soluzione terapeutica, il Nalmefene, che permette di ridurre il consumo di alcol per arrivare gradualmente all’obiettivo finale dell’astensione. Negli ultimi 15 anni in Toscana gli alcoldipendenti sono quintuplicati (da 1.240 nel 1997 a 5.376 nel 2012). ”Nella nostra clinica – spiega Dell’Osso – si registra una diffusione del problema a fasce di età sempre più giovani, che ignorano gli effetti neurotossici che l’alcol ha sul cervello e che sono ancora più gravi se si pensa che il cervello dell’adolescente e del giovane adulto è ancora in pieno sviluppo. A ciò si devono aggiungere le persone che ricorrono all’alcol con la speranza di risolvere altri problemi quali l’ansia, la timidezza, la depressione. Il nostro ruolo consiste nel far capire che l’alcol non è mai una soluzione ma al contrario aggrava il quadro generale del paziente”. Ma l’abuso di alcol, aggiunge Fagiolini, ”non è un vizio, bensì una malattia come rileviamo frequentemente nella nostra pratica clinica dove sono numerose le associazioni tra disturbo da uso di alcol e disturbi psichiatrici e forse è anche per questo che l’alcoldipendenza rimane una malattia ‘sommersa’ e quindi poco trattata (in Italia sono attualmente in cura solo 69 mila persone, cioè meno del 7% di quanti ne avrebbero bisogno), continuando così a rappresentare uno dei più importanti problemi di salute pubblica”.