Denis prese parte alla campagna elettorale. Si prodigò in molti modi, ma non la finanziò affatto. Mi aiutò in questa difficile città che è Firenze che a dire il vero – mi battei contro Gigi Berlinguer – mi tributò un bel po’ di voti, sia per il Parlamento, prima, sia per Palazzo Vecchio un anno dopo.
Denis era spesso a Roma cenavamo assieme a Dotti a Della Valle, e ad altri personaggi noti della politica di quei giorni, a ‘La Rosetta’ o ‘Fortunato al Pantheon’, e cominciò a tracciare la sua strada con pazienza e con una sua precisa visione del futuro. Aveva le idee chiare. Non era un gregario. Entrò fin da allora in un giro, dal quale esce solo oggi per intraprendere una seconda tappa della sua vita politica, e anche questa seconda avventura, in piccola parte, dipese ancora una volta da me. Il nuovo sindaco, il nuovo leader del Pd e folgorante primo ministro del nostro Paese, nella sua candidatura a sindaco mi deve qualcosa. Qualcosa solo moralmente, si capisce, e da un punto di vista una amicizia che forse lui ha dimenticato – come si addice al cinismo della politica -: mi deve incontri e contatti con alcuni personaggi fiorentini, qualche cena a quattr’occhi, dibattiti TV, che gli valsero poi un aiuto notevole di importanti grandi elettori di centro destra, sia nelle primarie sia nelle elezione a sindaco.
In questa realtà in divenire non mancava Verdini fin da quando era ancora consigliere Regionale, dove lo avevo imposto contro il volere dell’onorevole Tortoli, coordinatore di Forza Italia a Firenze. Tortoli aveva qualche pregio a Mediaset, forse, ma era certo un politico, però conosceva gli uomini: di me ebbe subito paura, di Verdini diceva. “Quello se gli dai un dito prende tutto”. Né mancava più tardi da parlamentare quando esibiva Dell’Utri a destra e manca. Prima che storia e magistratura lo cancellassero dal Gota. Ma da Dell’Utri aveva imparato molto.
IL ‘MASTRO TITTA’ DI Forza Italia
Tortoli aveva ragione, ma nonostante tutto feci in modo che alle regionali lui fosse in lista. Tutto il resto lo fece da se. L’elezione, il ruolo di vicepresidente del consiglio, la riforma di potere sulla legge elettorale Toscana e sul numero degli eletti che metteva ogni possibile candidato nelle sue mani, il coordinatore, l’uomo di punta del partito a Firenze, il padrone. Un uomo solo al comando. Denis, nella sua bravura politica smantellò Forza Italia a Firenze e in gran parte della Toscana, sdegnò chiunque del movimento avesse una affermazione, organizzò razionalmente la costruzione di se stesso. Una sorta di culto della personalità. E una volta accanto a Berlusconi mise in atto con gran disinvoltura il suo cinismo politico dribblando Bondi, Dell’Utri e quanti potessero fargli ombra: tagliò le teste che il Leader non voleva più d’attorno e lo fece senza riguardi. Amici o nemici che fossero. Fu impietosamente il ‘Mastro Titta’ di FI senza emozioni. Ma non erano fatti miei né le sue alleanze politiche né quelle economiche né certe strategie che poi sono finite in tribunale: io a quei tempo ero già tornato alla mia professione ed ero vicedirettore de La Nazione.
Durante la sua presenza in regione, prima del 2001, Denis aveva legato con Ferrara, aiutandolo con impegno nella battaglia elettorale per la politiche, come candidato nel Mugello, contro Antonio di Pietro, l’ex uomo di Mani Pulite, anche lui affascinato dalla politica. Era persa in partenza, il Mugello alla lucida intelligenza di Ferrara scelse senza ombra di dubbio i capziosi arzigogoli giuridici Di Pietro che dopo aver ringraziato i votanti fondò un partito per conto suo.
Verdini era un trascinatore, e nonostante l’evidenza dei fatti e la forza della sinistra in Mugello aveva convinto Ferrara della vittoria. Lo incontrai a casa di Denis, a Pian Dei Giullari, ed era quasi certo di vincere perché ‘molti mi vengono a salutare e a stringere la mano’ come mi disse. Fra i due nacque una solida amicizia e poco più tardi una collaborazione finanziaria con ‘Il Foglio’.