di Umberto Cecchi
ET TU DENIS FILI MI!
In un incontro a Palazzo Grazioli, Berlusconi mi pregò di restare in Parlamento, in fondo mi disse sono un editore anch’io. Gli risposi cordialmente che di editori avevo già il mio che forse era un uomo difficile ma con il quale andavo d’accordo. Me ne bastava uno. E poi Silvio ignorava che un giorno, in un incontro con suo fratello Paolo, al ‘Il Giornale’ questi prima ancora di sapere cosa dovevo dirgli, si era premurato di mettere le mani avanti, spiegandomi che non aveva bisogno di direttori. Pensando forse che avrei volentieri lasciato un fratello per un altro. Sbagliava, dovevo solo parlargli della necessità di servizi sull’Unione Europea e le sciocchezze di certe direttive come la proibizione di panificare di notte. Notai che anche lui come me aveva i baffi. Non se li era tagliati come aveva fatto Denis che baffuto e coi capelli neri somigliava a Omar Sharif.
Dopo il mio incontro con Silvio, Verdini, inopinatamente, mi accusò di aver parlato male di lui. In realtà non lo avevo neppure rammentato. Non lo avevo neppure pensato. Forse se lo avessi fatto avrei risparmiato qualche problema a lui e a FI. Ma non lo feci: erano affari di Berlusconi, non miei se si metteva attorno personaggi come Dotti, che poi gli creò il pasticciaccio brutto dell’Ariosto, o come Denis, che gli ha formato alle spalle una fronda di dissidenti piantandolo in asso nel suo momento più critico per correre a dar mano al vincitore. Per mantenere il potere che ormai era da altra parte.
Una volta Antonio Tajani, altro fondatore di forza italia e oltre che collega, vecchio amico – eravamo mi pare in Marocco – mi aveva detto che niente feriva di più Berluscini che il tradimento di un’amicizia e che di solito era disposto a tutto perché una cosa così non avvenisse. Ma alla fine, se tutto finiva, lui ne cancellava anche il ricordo.
Così è anche Verdini: chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato. Bondi, il conterraneo ritrovato è stata la chiave definitiva del suo successo. Dimenticarlo al momento giusto non è stato un sacrificio, ma solo una necessità. Insieme lui e l’amico di Fivizzano erano il coretto che inneggiava al capo. Poi è stato un concerto per voce sola. Quella di Denis.
Ecco perché tutto sommato la vera cosa che mi è dispiaciuta di Denis , fra tante, è stata che si tagliasse i baffi ossequiente a Berlusconi. Non lo facevo così. Il resto invece rientrava nella norma: il fatto che pian piano abbia ridotto il movimento un sua cosa personale che impediva di far emergere il movimento in Toscana e di far nascere personaggi nuovi, era la regola del suo modo di vedere. Lui era il numero uno, lui era tutto e tutto dipendeva da lui. Ora ha intrapreso una nuova strada che in realtà non si discosta dalla prima. Su tutta la lunga operazione di avvicinamento a Matteo Renzi e alla trattativa Berlusconi- Renzi per l’accordo del Nazareno, portata avanti dietro le quinte da oltre un anno fra accordi, compromessi e promesse avrei ancora molte cose da dire. Come molte cose da dire avrei ancora dei connubi fra Denis con vecchi amici che mi erano vicini e alcuni lo sono tuttora, e dei legami molto più complessi con nuovi amici – solo suoi – molto più discutibili, coi quali io non ho assolutamente niente a che fare.
Una cosa è certa: il passaggio di Verdini dalla corte bizantina di Berlusconi a quella barocco-rococò di Renzi non è stato un’improvvisata ma una scelta accuratamente riflettuta, ed è sintomo che l’intelligenza, se non supportata da un ideale, non basta. Che i legami politici non devono mai essere un mezzo per il tornaconto personale ma un fine per il trionfo di in’idea e che non si trasloca da un partito a un altro come da un appartamento. Soprattutto che le amicizie non si bruciano mai sull’altare di un arrivismo sfrenato. Una volta tutto questo si chiamava con disprezzo camaleontismo, e oggi si definisce ipocritamente calcolo politico. E nessuno più se ne vergogna.
Io, tuttavia, lo capisco Denis, conosco bene quella sua voglia di essere, in qualche modo mi manca quel suo spavaldo ma nitido modo di pensare, quella sua lucida volontà di realizzare sogni. La sua ironia. Quel suo assoluto cinismo grazie al quale, se del caso sacrifica chiunque. Una lineare forza di vivere e di vincere. Ma, mi chiedo, potrà davvero fidarsi, Matteo Renzi, dopo che Silvio ha esclamato con dolore, in un accorato milanese strettissimo: et tu Denis, fili mi?
Tutto il resto, e non sarà affatto poco, uscirà fra breve sul libro dei miei ricordi, che fra giornalismo, politica, amicizie nazionali e internazionali, nemici, clientes e giri del mondo non sono davvero pochi. Avete mai provato, come è accaduto a me, ad interrogare, a Pechino e Hanoi, dei rappresentanti sindacali? O trattare con Arafat avendo contrari i suoi consiglieri ed essere infine tolto dai pasticci da una frittura di pesce e da un ebreo libico, Fellah El- Kisch, consigliere di Andreotti per il medio Oriente intelligente e furbo come una faina? Io sì.