di Elisabetta Failla
Torna a Palazzo Strozzi l’arte contemporanea con la prima grande mostra retrospettiva italiana dedicata a Marina Abramović una delle personalità più celebri e controverse dell’arte contemporanea, che con le sue opere ha rivoluzionato l’idea di performance mettendo alla prova il proprio corpo, i suoi limiti e le sue potenzialità di espressione.
The Cleaner, presentata oggi, si apre venerdì prossimo 21 settembre e sarà visitabile fino al prossimo 20 gennaio 2019 ed è l’ultimo step di un percorso dedicato da Palazzo Strozzi agli artisti contemporanei come Ai Weiwei nel 2016, Bill Viola nel 2017 e Carsten Höller nel 2018.
“Questa è la prima mostra dedicata ad un’artista femminile – ha spiegato Arturo Galansino, direttore generale di Palazzo Strozzi – che ripercorre in oltre 100 opere la sua vita artistica a partire dagli anni ’60, quando Marina Abramović era ancora a Belgrado, fino agli anni 2000”.
Video, fotografie, dipinti, oggetti, installazioni e la riesecuzione dal vivo di sue celebri performance da parte di un gruppo di performer riempiono Palazzo Strozzi: dal cortile, alla Strozzina al piano nobile. Non è stato facile abbinare la struttura rinascimentale dell’edificio con la contemporaneità delle opere dell’artista ma la sfida è stata sicuramente vinta perché ogni opera d’arte trova la sua giusta collocazione nello spazio a disposizione.
Questa non è una mostra facile. Va vissuta con mente aperta accettando le sollecitazioni che ogni opera propone al visitatore. Il lavoro di Marina Abramović ci parla di ricerca e desiderio di sperimentare la trasformazione emotiva e spirituale. Come ricorda l’artista, il titolo dell’esposizione – The Cleaner – fa riferimento a un particolare momento creativo ed esistenziale, ad una riflessione dell’artista sulla propria vita: “Come in una casa: tieni solo quello che ti serve e fai pulizia del passato, della memoria, del destino”.
“Come le precedenti mostre di arte contemporanea proposte da Palazzo Strozzi anche questa farà discutere – ha detto Dario Nardella, sindaco di Firenze – ma dimostra anche che la nostra non è solo una città legata al rinascimento. Ḕ la culla dell’arte anche di quella contemporanea”.
Con questa mostra Marina Abramović riflette sulla propria lunga carriera in un luogo speciale come Palazzo Strozzi, e proprio in Italia, un paese che ha un significato importante nella sua vita e nell’evoluzione del suo percorso artistico. La mostra diviene una straordinaria occasione per scoprire la complessità della sua are, i cui lavori spaziano da azioni forti, violente e rischiose a scambi di energia gestuali e silenziosi, fino a veri e propri incontri con il pubblico, che negli ultimi anni è diventato sempre più protagonista nelle sue opere.
Le chiavi di lettura di una mostra stimolante ma al tempo stesso complessa le ha date Cristina Acidini, presidente del consiglio di indirizzo di Palazzo Strozzi: “le opere di Marina Abramović hanno qualche familiarità con alcuni Maestri del passato come Michelangelo o Vermeer ma anche per quell’aura che parte dell’artista e diventa opera stessa. Il suo corpo inserito nel opera d’arte diventa al tempo stesso soggetto e oggetto artistico. L’aura investe le persone nelle performance, gli oggetti da cui l’artista si fa toccare, i luoghi in cui avvengono le sue manifestazioni. E poi il tempo – ha proseguito Cristina Acidini – che nell’arte è eterno ma nei video si trasforma facendo sì che ogni singolo fotogramma diventi un’opera originale”.
Ḕ la stessa artista a spiegare l’importanza della performance. “Negli anni ’70 la mia arte non era riconosciuta ma a me non piace arrendermi – ha detto – In questi 50 anni ho continuato a lavorare sulle performance che adesso è una forma artistica riconosciuta e credo che questo sia il mio speciale contributo. La performance è molto cambiata dagli anni ’70 quando si teneva davanti a poche persone in luoghi considerati alternativi – ha proseguito – mentre adesso è apprezzata come una forma d’arte di lunga durata vista da centinaia di migliaia di persone”.
Per questo è molto importante oggigiorno l’uso della tecnologia che ha specificato essere “ormai parte della vita e per questo è necessario usarla al meglio senza che sia lei ad usare noi. Per ogni artista è impostante trovare il suo canale in modo che il suo messaggio sia cristallino. L’effetto si vede sul pubblico. Se viene toccato emotivamente e trasformato vuol dire che l’arista ha fatto un buon lavoro”.
Infine Marina Abramović ha parlato delle polemiche del manifesto che ha realizzato per la Barcolana, l’importante manifestazione velica che si terrà il prossimo ottobre a Trieste, dove la frase “siamo tutti sulla stessa barca” ha suscitato tante polemiche in quanto intesa come una critica all’azione del governo contro i migranti. “Sono contenta che un semplice manifesto abbia suscitato questo clamore anche con la Lega – ha raccontato – Questo significa che l’arte ha anche questo tipo di possibilità. La frase del manifesto può essere interpretato in modo banale ma io avevo in mente una prospettiva ben più ampia: noi esseri umani siamo tutti su questo piccolo pianeta blu in sospeso nell’immensità dello spazio nero”.
LA MOSTRA
L’esposizione – in cui per la prima volta sarà la voce dell’artista ad accompagnare i visitatori nell’innovativa audioguida – ripercorre le principali tappe della carriera di Marina Abramović che esordisce giovanissima a Belgrado come pittrice figurativa e poi astratta. Di questa produzione sono esposte opere inedite come l’Autoritratto del 1965 e i dipinti delle serie Truck Accident (1963) e Clouds (1965-1970) in cui si ripetono ossessivamente violenti incidenti di camion e nuvole quasi astratte, lasciando già intravedere la tensione di un’arte che va verso l’immaterialità e che pone il corpo umano come elemento centrale della sua ricerca. È negli anni Settanta che inizia il lavoro nella performance attraverso l’utilizzo diretto del proprio corpo, come testimoniato in mostra da opere come la serie Rhythm (1973-1974) e Thomas Lips (1975) in cui l’artista si espone a dure prove di resistenza fisica e psicologica, Art Must Be Beatiful/Artist Must Be Beatiful (1975), dove, nuda, pettina i propri capelli fino a far sanguinare la cute, o The Freeing Series (Memory, Voice, Body, 1975), nella quale mette alla prova la capacità di resistenza individuale attraverso estenuanti azioni ripetitive di parole, suoni e
gesti.
Nel 1975 conosce l’artista tedesco Ulay con cui nasce un rapporto sentimentale e professionale il cui simbolo è il furgone Citroën in cui i due hanno vissuto, viaggiando incessantemente in Europa per tre anni e che sarà esposto nel cortile di Palazzo Strozzi. Insieme creano celebri performance di coppia come Imponderabilia (1977), dove il pubblico è costretto a passare attraverso i corpi nudi dei due artisti come fossero gli stipiti di una porta, e che viene interrotta dalla polizia, o azioni come Relation in Space (1976) e Light/Dark (1977) e in cui sperimentano l’incontro/scontro tra energia femminile e maschile. Negli anni Ottanta Marina e Ulay intraprendono viaggi di ricerca e studiano le pratiche di meditazione in Australia, India e Tailandia. Ne nascono opere come Nightsea Crossing (1981-1987), in cui rimangono immobili l’uno di fronte all’altra per ore, e Nightsea Crossing Conjunction (1983), in cui vengono messe in contatto le culture aborigena e tibetana.
La fine della loro relazione sentimentale e professionale si celebra nel 1988 con la performance The Lovers (1988) dove i due artisti si incontrano per dirsi addio a metà della Grande Muraglia cinese, dopo aver percorso a piedi 2500 chilometri ciascuno, partendo lei dall’estremità orientale e lui da quella occidentale.
Negli anni Novanta il dramma della guerra in Bosnia ispira l’opera Balkan Baroque (1997), con cui Abramović vince il Leone d’Oro alla Biennale di Venezia, del 1997, che diviene metafora contro tutte le guerre: all’interno di un buio scantinato l’artista pulisce una ad una mille ossa di bovino raschiando pezzi di carne e cartilagine mentre intona canzoni della tradizione popolare serba. Legate al mondo balcanico e alle proprie complesse dinamiche familiari sono inoltre presentate in mostra opere come The Hero (2001) dedicato al padre, eroe della resistenza, o il controverso ciclo Balkan Erotic Epic (2005). Parallelamente Abramović porta avanti una ricerca sulle tematiche di meditazione e trascendenza che trovano espressione nei Transitory Objects (1995-2015): non sculture, ma strumenti per viaggi interiori, realizzati con materiali come il quarzo o l’ossidiana, dotati di una particolare carica energetica. Col passare degli anni la sua arte performativa, effimera per definizione, si dilata nel tempo: dalle poche ore delle performance degli anni Settanta a The Artist is Present (2010), in cui al MoMA di New York, muta e immobile – per più di settecento ore nell’arco di tre mesi – ha fissato milleseicentosettantacinque persone che si sono avvicendate davanti a lei, sottolineando così il valore di una comunicazione energetica e spirituale tra artista e pubblico come elemento fondamentale del suo lavoro.
Infine, grazie alla rinnovata collaborazione di Palazzo Strozzi con l’Opera di Santa Maria del Fiore, due opere saranno eccezionalmente esposte al Museo dell’Opera del Duomo in dialogo con capolavori come la Pietà Bandini di Michelangelo. Si tratta di una fotografia della Pietà (Anima Mundi) (1983/2002) e del video The Kitchen V, Carrying the Milk (2009). Nella prima Marina Abramović reinterpreta l’iconografia sacra della Pietà e nella seconda rende omaggio alla mistica santa Teresa d’Avila.
La mostra trova una sua fondamentale caratteristica nelle re-performance che si alterneranno ogni giorno all’interno dell’esposizione, rendendo Palazzo Strozzi uno spazio mutevole e in costante trasformazione, con Imponderabilia, Cleaning the Mirror e Luminosity negli spazi del Piano Nobile e con The Freeing Series (Memory, Voice, Body) nella Strozzina. Per mantenere vive le sue opere, che altrimenti esisterebbero solo come documentazione d’archivio, Marina Abramović usa infatti la re-performance come metodo e pratica di lavoro, come testimoniato dal celebre ciclo Seven Easy Pieces (2005) realizzato al Guggenheim Museum di New York, in cui ha replicato sette storiche performance di artisti come Valie Export, Vito Acconci, Bruce Nauman, Gina Pane, Joseph Beuys e lei stessa. Attraverso il Marina Abramović Institute for the Preservation of Performance Art (fondato nel 2010) e con il cosiddetto “Abramović Method”, sviluppato nel corso della sua carriera come pratica fisica e mentale per realizzare una performance, l’artista ha inoltre posto le basi per oltrepassare il carattere effimero delle sue opere e reinventare l’idea stessa di performance nel XXI secolo. Coinvolgendo spettatori e performer diversi, la performance stessa cambia rinnovandosi nei diversi contesti in cui viene replicata.
Sabato 22 settembre alle ore 15.30 l’artista sarà protagonista dello speciale appuntamento, sold out, Marina Abramović Speaks organizzato dalla Fondazione Palazzo Strozzi presso il Teatro del Maggio Musicale Fiorentino. In conversazione con Arturo Galansino, l’artista affronterà alcuni temi del suo percorso esistenziale e creativo, ripercorrendo le tappe della sua carriera dagli esordi in Serbia alle ultime grandi performance in tutto il mondo.
In collaborazione con l’Opera di Santa Maria del Fiore sarà inoltre disponibile uno speciale biglietto congiunto (€ 16,00 intero, € 6,00 ridotto scuole) con cui sarà possibile visitare la mostra insieme al Battistero di San Giovanni e al Museo dell’Opera del Duomo.
La mostra è organizzata da Fondazione Palazzo Strozzi, prodotta da Moderna Museet, Stoccolma in collaborazione con Louisiana Museum of Modern Art, Humlebæk e Bundeskunsthalle, Bonn. A cura di Arturo Galansino, Fondazione Palazzo Strozzi, Lena Essling, Moderna Museet, con Tine Colstrup, Louisiana Museum of Modern Art, e Susanne Kleine, Bundeskunsthalle. Con il sostegno di Comune di Firenze, Camera di Commercio di Firenze, Regione Toscana, Associazione Partners Palazzo Strozzi. Con il contributo di Fondazione CR Firenze. Sponsor Unipol Gruppo.